Caduta dal tetto e responsabilità del coordinatore dei lavori in fase di progettazione ed esecuzione. Erronea contestazione degli articoli di legge violati. Responsabilità del CSE. Sussiste. Intervenuta prescrizione.
Cassazione Penale, Sez. 3, 29 agosto 2017, n. 39498 –
(sintesi dell’avv. Rolando Dubini, difensore in questo processo del CSE F.N.)
LA SENTENZA IN SINTESI (Ogni parola estratta dalla sentenza)
“Il 5 settembre 2007 G.C. era precipitato al suolo dal tetto di una villetta in costruzione presso il cantiere in Robbiate della S.r.l. Il Dosso, facente capo ai fratelli G. e C. B., che vedeva nella DMF Costruzioni S.r.l. il soggetto al quale la proprietaria committente aveva appaltato i lavori di edificazione di sei villette.
Per rispondere delle lesioni riportate dal G.C., socio della G.C. S.n.c., alla quale la DMF Costruzioni aveva subappaltato i lavori di copertura dei tetti, erano stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Lecco F.N. , G.B., D’A.M., C.B. e C.A..
All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale aveva accertato che il G.C. aveva terminato prima della pausa estiva i lavori di copertura della villetta teatro del sinistro, e pertanto il ponteggio che era stato collocato in corrispondenza di tale villetta era stato smontato, per essere installato presso un diverso manufatto, cosicché quando, alla ripresa dei lavori, nel mese di settembre, al G.C. era stato richiesto di riallineare le tegole non perfettamente collocate, questi si era portato sul tetto e durante gli spostamenti era scivolato ed era caduto nel vuoto, stante la mancanza di metà del ponteggio nella zona in cui doveva essere sistemata la copertura.
Ad avviso del Tribunale di tale fatto doveva rispondere innanzitutto il F.N., quale coordinatore per la progettazione e l’esecuzione nominato dalla committente, perché non aveva eseguito alcuna concreta azione di coordinamento. Nell’esaminare il piano di sicurezza e di coordinamento il Tribunale ravvisava incongruenze definite “sorprendenti”, come quella di prevedere la realizzazione di una sola villetta, laddove nella realtà ne erano in costruzione ben sei.
Nell’esaminare il precedente ricorso per cassazione proposto da F.N., nei confronti della sentenza del 6 maggio 2013 della Corte d’appello di Milano, di conferma della condanna per il reato di lesioni colpose, era stata rilevata la sussistenza del vizio di motivazione denunciato dal ricorrente riguardo alla discrepanza tra la contestazione di colpa, consistente, tra l’altro, nella violazione degli artt. 10, 16 e 68 del d.P.R. n. 164 del 1956, e la violazione degli obblighi posti a carico del coordinatore per l’esecuzione dei lavori dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 494 del 1996, non oggetto di formale contestazione, ma nonostante ciò posta a base della affermazione di responsabilità dello stesso F.N. da parte del Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte d’appello.
Al riguardo è stato sottolineato come la Corte d’appello, in presenza di una specifica doglianza sul punto da parte del F.N., avrebbe dovuto verificare se la ricostruzione del suo comportamento trasgressivo fosse stata preceduta da un procedimento nel quale questi fosse stato messo in condizioni di difendersi dall’accusa di esser venuto meno agli obblighi specificatamente posti in capo al coordinatore, in modo da esplicitare se la indubbia asimmetria tra la contestazione formalizzata con il decreto che dispone il giudizio e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti.
In difetto di tale verifica è stato disposto il rinvio per nuovo esame sul punto”.
Conclude in relazione al nuovo giudizio di Cassazione la Suprema Corte, in modo non facilmente comprensibile:
“l’imputato era stato messo in condizione di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori; sia della violazione degli artt. 10, 16 e 68 d.P.R. n. 164 del 1956, i cui precetti non sono stati considerati nella valutazione della condotta dell’imputato, esaminata con riferimento alle condotte descritte nei capi di imputazione relativi alle contravvenzioni, condotte ritenute allo stesso ascrivibili non quale datore di lavoro ma come coordinatore dei lavori, così come descritte in dette imputazioni.
Ciò determina l’irrilevanza anche dell’inosservanza delle forme del procedimento amministrativo di contestazione di cui agli artt.20 e 21 d.lgs. 758/1994, relativo alle disposizioni antinfortunistiche, nella specie non oggetto di esame né di contestazione all’imputato, dunque privo di rilievo in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen. contestato all’imputato, per la cui procedibilità non è necessario l’espletamento preventivo di tale procedimento.
Nella vicenda in esame la Corte d’appello, investita nel giudizio di rinvio del compito di verificare se la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale, che aveva ravvisato la responsabilità del F.N. per la violazione degli artt. 4 e 5 del D.lgs. 494/96, non richiamati nella imputazione, fosse stata preceduta da un procedimento nel quale l’imputato fosse stato messo in condizione di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori, ha ritenuto che nel corso del giudizio il F.N. avesse avuto piena consapevolezza della portata della contestazione a suo carico, tenendo conto degli elementi probatori acquisiti in contraddittorio.
In proposito la Corte d’appello ha, anzitutto, sottolineato come l’imputazione facesse riferimento all’incarico del F.N. di coordinatore dei lavori in fase di progettazione e realizzazione, dunque a una specifica figura introdotta da d.lgs. n. 494 del 1996, incaricata essenzialmente dell’approntamento del piano di sicurezza e di coordinamento dell’intero cantiere (art. 4) e della verifica dell’adempimento da parte delle imprese in esso operanti delle norme e di sicurezza e coordinamento (art. 5).
La Corte territoriale, pur dando atto della estraneità del coordinatore ai precetti contenuti negli artt. 10, 16 e 68 del d.P.R. 164 del 1956, in quanto rivolti ai datori di lavoro, ha tuttavia sottolineato la rilevanza, sul piano della specificazione delle concrete condotte colpose addebitate all’imputato quale coordinatore dei lavori, delle condotte descritte in tali imputazioni, e in particolare delle omissioni delle cautele di sicurezza alle quali è stata ricondotta la verificazione dell’evento (e cioè la caduta del G.C. dal tetto), nell’ambito delle quali è stato sottolineato il rilievo della omissione della vigilanza sulla predisposizione dei sistemi di protezione dalla cadute dall’alto, risultate inadeguate”.
Secondo la Cassazione la Corte territoriale avrebbe “ampiamente indicato la rilevanza diretta delle omissioni dell’imputato nella verificazione dell’evento, conseguente alla inadeguatezza e alle incongruenze del progetto dei lavori e del piano di sicurezza, aventi efficacia diretta nella produzione dell’evento, in combinazione con la disposizione impartita [da altro imputato, condannato] al G.C. [infortunato] di riprendere le lavorazioni sul tetto nonostante lo smantellamento dei ponteggi, cui, però, l’imputato non era estraneo, posto che la sua veste di coordinatore dei lavori gli imponeva di vigilare anche su tali disposizioni [ovvero sul fatto che una mattina un soggetto da un ordine inaspettato all’infortunato – nota di Rolando Dubini]. La sentenza completa qui: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=17398:cassazione-penale,-sez-3,-29-agosto-2017,-n-39498-caduta-dal-tetto-e-responsabilit%C3%A0-del-coordinatore-dei-lavori-in-fase-di-progettazione-ed-esecuzione&catid=17&Itemid=138
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